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Il «disastro ambientale» nella giurisprudenza di legittimità



La politica legislativa in materia ambientale, caratterizzata, come è noto, dall’adozione di disposizioni di dubbia efficacia, tra loro non coordinate e, non raramente, finalizzate alla tutela di interessi particolari e diversi dalla tutela dell’ambiente e della salute delle persone, rende ancora oggi valido il ricorso alle ben collaudate disposizioni del codice penale per perseguire condotte illecite anche gravi, le quali resterebbero, altrimenti, prive di sanzioni.
Tra le varie norme codicistiche ha trovato applicazione, tra l’altro, l’art. 434 cod. pen., la cui funzione di norma complementare e di chiusura del sistema dei delitti contro la pubblica incolumità ben si attaglia ad alcune condotte di sicuro rilievo in campo ambientale.
La giurisprudenza di merito e, sopratutto, quella di legittimità, ne hanno fatto, in questo specifico settore, un uso sicuramente ponderato e rispondente ai criteri generali fissati per tale tipologia di reati, fortunatamente sfuggendo a quegli inopportuni sensazionalismi, indotti dal richiamo della ribalta mediatica, che abusando della suggestione semantica di termini quali ecomafia e, appunto, disastro ambientale, hanno come unico effetto quello di banalizzarne il significato e ridurre l’attenzione della pubblica opinione, ormai assuefatta, su fatti di rilievo riconducibili ad attività criminali di sicura gravità.
Sulla rilevanza dell’evento considerato dall’art 434 cod. pen., infatti, non vi è dubbio, essendosi costantemente affermato che questo delitto richiede il verificarsi di un avvenimento grave e complesso, tale da costituire un pericolo per la vita e la incolumità delle persone, indeterminatamente considerate.

Articolo pubblicato sulla rivista Ambiente & Sviluppo, IPSOA, n. 8-9/2012


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