Giuristi Ambientali - tel. 06/87133093 - 06/871148891 www.giuristiambientali.it |
Documento: - [Stampa]
|
Amianto e benzene - prescrizione del disastro ambientale - malattie-infortuni e disastro ambientale - consenso della comunità scientificaCassazione Sez. IV pen., sent. n. 16715, ud. 14/11/2017, dep. 16/04/2018 In tema di prolungata esposizione professionale dei lavoratori di uno stabilimento petrolchimico ad inquinamento atmosferico, si pone una linea di demarcazione tra la forma commissiva e quella omissiva nel reato, previsto al primo comma dell'art. 437 cod. pen..
In forma commissiva, l’437 c. 1 c.p. costituisce un reato istantaneo, seppure abbia effetti permanenti e la consumazione del reato coincide con l'ablazione dell'oggetto materiale o l'esecuzione dell'attività che compromette la funzione prevenzionistica dell'oggetto, volto a tutelare l’incolumità dei lavoratori. Se invece il reato è consumato in forma omissiva, ci si trova in presenza di reato permanente che sussiste permane o sino a quando non sia stato collocato il dispositivo o fin quando questo non sia più utilmente collocabile o finché il soggetto rivesta la posizione di garanzia (ossia la carica sociale). Trattandosi di reato proprio, infatti, possono essere sanzionati ex. art. 437 c.p. solo i soggetti gravati di un correlato obbligo di facere e, pertanto, il venir meno della qualità segna il confine temporale della pretesa dell'ordinamento. Ne consegue che il reato cessa al cessare della carica, con conseguente inizio di decorrenza della prescrizione. (Nella specie, venivano tratti a giudizio, dapprima dinnanzi al Tribunale di Mantova, i vertici di una società di gestione di uno stabilimento per rispondere dei delitti di omicidio colposo plurimo aggravato, lesioni personali colpose ed omessa collocazione di impianti, apparecchi e segnali diretti a prevenire infortuni sul lavoro, aggravato – quest’ultimo reato - dalla verificazione dell'infortunio, in relazione alla prolungata esposizione professionale dei lavoratori dello stabilimento stesso. Il Tribunale riteneva provata la responsabilità penale di alcuni degli imputati limitatamente all'omicidio colposo. Assolveva, invece, tutti gli imputati dal reato di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro perché il fatto non costituisce reato. Successivamente, la Corte di Appello di Brescia procedeva alla ridefinizione del trattamento sanzionatorio, concedendo a tutti gli imputati le attenuanti generiche, valutate equivalenti alla contestata aggravante di cui all'art. 589, c.2 c.p. e riduceva a tutti gli imputati le pene inflitte dal primo Giudice. La Corte di Cassazione annullava la sentenza impugnata, con rinvio, in relazione agli omicidi colposi, esito di patologia asbesto-correlate, per i quali non era ancora decorso il termine di prescrizione, ritenendo estinti alcuni dei capi di imputazione, in quanto decorso il termine massimo di prescrizione. Rigettava i restanti ricorsi degli imputati e del responsabile civile, nonché il ricorso del Procuratore Generale della Corte di Appello di Brescia).
Mentre il primo comma dell’art. 437 c.p. rappresenta un reato di pericolo, nel secondo comma, la fattispecie viene a configurarsi come un reato di evento, il quale può configurarsi diversamente, o perché si verifica il disastro o perché si verifica l'infortunio e/o la malattia-infortunio. La nozione di disastro non può farsi coincidere con la molteplicità degli eventi di danno che coinvolgono i beni individuali della salute e della vita, consistendo, piuttosto, in un macroevento, di immediata manifestazione esteriore, che si verifica in un arco di tempo ristretto ovvero in un macroevento, non visivamente ed immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo molto prolungato, i quali producano una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014 - dep. 23/02/2015, P.C., R.C. e Schmidheiny, Rv. 262790).
In tema di sapere scientifico attendibile nell’accertamento del nesso causale, nel settore della responsabilità penale da esposizione a sostanze tossiche, vige il criterio del consenso nella comunità scientifica (conf. Cass. pen. Sez. IV ud. 17 settembre 2010, dep. 13 dicembre 2010, n. 43786, Cozzini e altri). L’onere probatorio, in relazione al criterio del consenso, è diverso per l’accusa e la difesa: in tema di malattie asbesto-correlate, il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sulla validità di un meccanismo causale rispetto all'evento è motivo più che sufficiente per assolvere l'imputato. La condanna richiede, viceversa, che la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio", dunque, l’applicazione della legge di copertura scientifica potrà condurre alla condanna solo qualora sia ampiamente condivisa dalla comunità degli esperti.
Nel caso di patologie multifattoriali, sia in primo luogo necessario l'utilizzo di leggi scientifiche probabilistiche. Tuttavia, dopo aver rinvenuto una legge di copertura sul piano della causalità generale, è ancora necessario rinvenire la prova che quella legge abbia operato nel caso concreto, al fine di escludere l'operatività di quei fattori alternativi dimostrati nel caso specifico. La ‘regola dell'esclusione’ impone che la malattia possa essere attribuita alla causa indiziata, solo dopo che sia stato escluso che abbia avuto un ruolo eziologico il fattore alternativo. Emerge la centrale rilevanza delle conoscenze scientifiche acquisite nell’accertamento del fattore alternativo e ciò implica che, per poter affermare la causalità della condotta ascritta all'imputato, rispetto alla patologia sofferta dal lavoratore, è necessario dimostrare che questa non ha avuto un'esclusiva origine nel diverso fattore astrattamente idoneo e che l'esposizione al fattore di rischio, di matrice lavorativa, sia stata condizione necessaria per l'insorgere o per una significativa accelerazione della patologia. |
Documento: - [Stampa]
|