Versione Stampabile: Nota a Cass. Pen. n. 18503/11
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Nota a Cass. Pen. n. 18503/11



L’art. 257, comma 1, T.U.A. sanziona penalmente due ipotesi: l’omessa bonifica del sito inquinato e la mancata comunicazione dell’evento inquinante alle autorità competenti secondo le modalità indicate dall’art. 242. In entrambi i casi il destinatario del precetto è tuttavia lo stesso e, cioè, colui il quale cagiona l’inquinamento.

(Fattispecie, nella quale il Tribunale di Milano aveva condannato alla pena di € 10.000 di ammenda ed al risarcimento del danno a favore della parte civile la persona formalmente delegata per il fondo pensioni COMIT, per omessa comunicazione agli uffici territorialmente competenti dell’accertamento dell’inquinamento storico della predetta area, provocato da sostanze pericolose (idrocarburi), con concentrazioni comunque superiori a 1.000 mg/kg.)

Se il Legislatore avesse voluto fare riferimento all’art. 257 anche a coloro che non hanno cagionato l’inquinamento, non solo avrebbe dovuto menzionare anche i soggetti “interessati non responsabili”, quali soggetti attivi del reato, ma necessariamente avrebbe dovuto fare riferimento all’art. 245 (e non all’art. 242) per individuare l’obbligo di comunicazione gravante su questi ultimi.

Premesso che, ai sensi delle disposizioni della legge-delega (v. art. 1, comma 9, lett. e) della legge n. 308/2004) le sanzioni penali rappresentano solo uno dei rimedi previsti per contrastare il danno ambientale, il mancato adempimento dell’obbligo di comunicazione di colui che non abbia cagionato l’inquinamento espone senz’altro l’autore della omissione alle conseguenze indicate dall’art. 311, comma 2, T.U.A. e quindi ad autonoma sanzione, indipendentemente dall’applicazione delle disposizioni penali. Sul piano dei princìpi, potrebbe destare perplessità un sistema che, dovendo, tra l’altro, farsi carico di dare specifica attuazione al principio “chi inquina, paga” prevedesse la medesima tipologia di intervento sanzionatorio per colui il quale si rende responsabile della condotta di inquinamento e per colui che, invece, la situazione di inquinamento abbia, per così dire, “subìto” accertandola occasionalmente in tempi successivi senza avervi dato comunque causa. In ogni caso la soluzione cui perviene il giudice di primo grado è adottata in violazione del divieto dell’analogia in malam partem. Non sembra, infatti, in alcun modo possibile fare riferimento, nel caso di specie, alla nozione di interpretazione estensiva del giudice di merito, avuto riguardo alla disposizione dell’art. 257, comma 1, T.U.A.

(La Suprema Corte ha conseguentemente annullato senza rinvio la sentenza di primo grado perché il fatto non sussiste).

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La sentenza sopra massimata sembra porsi in “rotta di collisione” con la sentenza TAR Lazio n. 2263/2011 (e, nello stesso senso, cfr., altresì, TAR Lazio, II-bis, sentenza 16 maggio 2011, n. 4214), pur nel comune richiamo al noto principio del “Chi inquina, paga”.
In forza del medesima precetto (rectius: della linea-guida di politica comunitaria in materia ambientale), la Suprema Corte ha escluso (v. la quarta massima) che possa essere sottoposta alla stessa pena (ex art. 257, comma 1, seconda parte) il responsabile dell’inquinamento ed il proprietario incolpevole che, ai sensi dell’art. 245, comma 2, abbia violato l’obbligo della comunicazione, di cui all’art. 242. La norma è ritenuta inapplicabile al proprietario incolpevole perché quest’ultimo ha subìto la contaminazione, “accertandola occasionalmente in tempi successivi, senza avervi dato causa”. Si tratta del richiamo al c.d. rapporto di causalità tra condotta ed inquinamento (pericolo di) ritenuto essenziale anche da Corte di Giustizia 9 marzo 2010, in causa C-378/08: cfr. G. TADDEI, “Responsabilità, nesso causale, giusto procedimento”, in Ambiente & Sviluppo, 2010, n. 5, p. 437 ss.).
Il TAR Lazio, nella cit. sentenza 2263/11 ritiene, invece, che tale principio “ – che vede giustamente … la responsabilità dell’autore dell’illecito – non giunge sino al punto di addossare alla collettività, le conseguenze di tale inquinamento”, e quindi il medesimo Collegio, perviene ad affermare che “non sussiste alcun impedimento a ritenere che il proprietario possa essere reso destinatario dall’amministrazione competente – salva la sua rivalsa nei confronti del responsabile – degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale e ciò senza che tale attribuzione consegna o sia indice di una sua responsabilità”. (In tema, si rinvia alla nota critica dello scrivente: “Ordine di bonifica in via provvisoria a carico del proprietario incolpevole?”, in Ambiente & Sviluppo, 2011, n. 6).
Si vogliono qui esporre due riflessioni.
La prima: La Suprema Corte esclude che il proprietario incolpevole, il quale omette di adottare le prescritte misure di prevenzione e che non adempie all’obbligo di comunicazione ex art. 245, comma 2, possa rispondere del reato ex art. 257, comma 1, seconda parte, sulla base della lettera e della collocazione della norma (e del relativo obbligo) riferibili soltanto al responsabile dell’inquinamento in rapporto alla differente status del proprietario incolpevole nella disciplina dei siti inquinati (donde il richiamo al divieto dell’analogia juris, ove si intendesse estendere la disposizione incriminatrice dall’uno all’altro soggetto). Il recente orientamento del TAR Lazio, muovendo, inter alia, proprio dallo speciale obbligo (ex art. 245, comma 2), oltre che dall’onere reale e dal privilegio speciale ex art. 253, comma 1, si spinge sino a ritenere che l’autorità competente in attesa di individuare il responsabile, possa rendere il proprietario incolpevole destinatario dell’obbligo di adottare tutti gli interventi di bonifica e ripristino ambientale, in via provvisoria, salvo sua rivalsa verso il responsabile dell’inquinamento. Sembra evidente la impostazione “conflittuale” tra la Suprema Corte ed il giudice amministrativo nell’interpretazione della disciplina di bonifica dei siti contaminati, nonché opposta esegesi della forza vincolante, non solo del principio comunitario, sopra richiamato, ma anche della direttiva comunitaria 2004/35/CE, attuativo, in concreto, del “chi inquina, paga”.
La seconda riflessione è consequenziale alla prima. Se il proprietario incolpevole non ottempera all’ordine dell’Autorità competente di eseguire gli interventi di bonifica - sia pure in via provvisoria – potrà mai essere ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 257, commi 1 e 2 ? Allo stato della richiamata giurisprudenza del Supremo Collegio, la risposta non può essere che negativa. E, in tal senso, è la lettera e la ratio dell’art. 257, cit. Né ritengo possa essere invocato l’art. 650 c.p., atteso che pur potendosi inquadrare il provvedimento de quo come quello mirato alla tutela della salubrità ambientale (o dell’igiene ambientale), si può seriamente dubitare della sua legittimità e, quindi, di un presupposto essenziale del reato. Anzi, nella specie, essendo prevista una normativa sanzionatoria, penale ed amministrativa, nell’ambito di una disciplina di carattere generale, costituita dalla bonifica dei siti inquinati (Titolo V, Libro IV, del T.U.A.), la contravvenzione de qua non sarebbe neppure configurabile poiché l’art. 650 c.p. ha natura di norma sussidiaria, che si porrebbe in contrasto con la disciplina sanzionatoria, sopra indicata, vigente in materia.
Franco Giampietro


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