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Le condotte che integrano il reato di traffico illecito di rifiuti

Cassazione penale

L'esistenza di una irregolare tenuta dei registri obbligatori di carico e scarico, di sistematiche attività di miscelazione di rifiuti pericolosi tra loro e di rifiuti pericolosi con altri non pericolosi, l'effettuazione di miscelazioni in assenza di accertamenti tecnici preliminari e in assenza dei necessari trattamenti preliminari, il mancato rispetto delle cautele necessarie rispetto alla gestione di rifiuti pericolosi, l'apposizione del codice CER privilegiando la compatibilità con le autorizzazioni dei destinatari e la compatibilità con le esigenze commerciali rispetto alla effettiva composizione dei materiali inviati, la conseguente destinazione di rifiuti in prevalenza pericolosi a impianti che non avrebbero potuto riceverli, la modifica di codice CER, e non solo il mero "giro bolla", rispetto a rifiuti non sottoposti ad alcun trattamento costituiscono condotte che valutate nel loro insieme con riferimento, ovviamente, al singolo impianto, denotano manifesta illiceità, e ciò a prescindere dal fatto che l'impianto potesse, quale "produttore" non originario indicare se stesso come produttore dei rifiuti e dal fatto che in condizioni di rispetto delle altre formalità e cautele il c.d. "giro bolla" possa non rivestire carattere di intrinseca illiceità. Ciò che rileva è che la mancata indicazione della provenienza iniziale dei rifiuti nei formulari e il ricorso al "giro bolla" costituiscono metodologia scelta ed utilizzata all'interno di un meccanismo che muove dalla irregolare tenuta dei registri di carico-scarico e termina con la destinazione ad altri impianti di prodotti diversi per caratteristiche rispetto a quanto dichiarato, frutto di miscelazioni non operate nei limiti e con le garanzie previste e, infine, marcati con codici CER non fedeli alle caratteristiche prevalenti della miscela e apposti avendo riguardo alle opportunità commerciali. 

La legge non richiede che il traffico di rifiuti sia posto in essere mediante una struttura operante in modo esclusivamente illecito, ben potendo le attività criminose essere collocate i un contesto che comprende anche operazioni commerciali riguardanti i rifiuti che vengono svolte in modo illecito. In altri termini, il delitto può essere integrato sia da una struttura operante in assenza di qualsiasi autorizzazione e con modalità del tutto contrarie alla legge sia da una struttura che includa stabilmente condotte illecite all’interno di un’attività svolta in presenza di autorizzazioni e, in parte, condotta senza altre violazioni. Ciò che rileva, infatti, è l’esistenza di “traffico” di rifiuti intenzionalmente sottratto ai canali leciti e l’inserimento all’interno di un percorso imprenditoriale ufficiale può divenire addirittura una scelta mirante a mascherare l’illecito all’interno di un contesto imprenditoriale manifesto e autorizzato. A tale conclusione consegue una considerazione ulteriore: la natura “abusiva” delle condotte non è esclusa dalla regolarità di una parte delle stesse allorché l’insieme delle condotte conduca ad un risultato di dissimulazione della realtà e comporti una destinazione dei rifiuti che non sarebbe stata consentita. 

(Nella specie, la Cassazione ha ritenuto prive di fondamento le ipotesi interpretative proposte da ricorrenti, secondo i quali il reato di organizzazione volta al traffico di rifiuti potrebbe essere integrato solo attraverso l’utilizzo di impianti prvi di autorizzazione o agenti totalmente al di fuori del regime di autorizzazioni, ben potendo una sistematica attività illecita essere agevolata sotto molteplici profili dalla utilizzazione di impianti forniti di autorizzazione. Nello stesso modo, ha ritenuto infondate le censure che farebbero derivare l’insussistenza del reato dall’avvenuta assoluzione degli imputati dal reato previsto dall’art. 416 cp. La mancanza di prove circa l’esistenza del reato associativo non esclude affatto sul piano interpretativo e logico che risultino integrati gli estremi del reato ex art. 53-bis, il quale costituisce reato-fine rispetto all’ipotizzato, e poi escluso, vincolo associativo ex art. 416 cp, e conserva la propria autonomia sulla base di elementi, quali la struttura operativa e l’elemento soggettivo, che rispondono a criteri di chiarezza e completezza rispettosi del prncipio costituzionale di riserva di legge penale).


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