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Avvelenamento delle acque

Corte di Assise di Alessandria n.1/2015
Ambiente - Avvelenamento delle acque - Natura e struttura del delitto - Accertamento avvelenamento - Criteri - Identificazione dei pozzi idropotabili - Esclusioni ex lege - Elemento soggettivo del reato nei vertici apicali

Corte di Assise di Alessandria n. 1/2015-dep. 6 giugno 2016 (ud. 14 dicembre 2015)

Non è configurabile il delitto di avvelenamento di acque destinate all’alimentazione nel caso in cui difetti l’attuale destinazione delle acque agli usi idropotabili, non essendo sufficiente la mera destinabilità della matrice al consumo umano.

Non sussiste il reato in questione nel caso in cui si riscontri il mero superamento dei limiti di contaminazione (CSC) così come definiti dalla normativa di settore ambientale, essendo necessario che venga superata la soglia della tossicità, da accertarsi scientificamente, in quanto il delitto di avvelenamento tutela il bene “salute pubblica” e non l’equilibrio ambientale.

Allorché la soglia di tossicità venga riscontrata in pozzi non adibiti né mai utilizzabili, ex lege, per l’emungimento di acque ad uso idropotabile (come i piezometri di controllo di impianti industriali) non si configura il delitto di cui all’art. 439 cod. pen, non potendosi prescindere dalla complessa normativa in materia di autorizzazione al prelievo ed uso delle acque pubbliche e dai divieti di autorizzazione all’estrazione di acque destinate al consumo umano in aree di particolare criticità ambientale.

Il discrimine tra i reati di avvelenamento (art. 349 cod. pen.) ed adulterazione o contraffazione di sostanze alimentari (art. 440 cod. pen.) va identificato nella natura della sostanza che rende inidonea all’uso tale matrice, che solo nel primo caso deve necessariamente avere natura venefica. In una Società di enormi dimensioni, in cui esiste una struttura articolata e deputata a risolvere (anche) criticità di natura ambientale, non può addebitarsi ai legali rappresentanti la responsabilità del delitto di avvelenamento senza che sia accertata la loro consapevolezza e volontarietà di mantenere inalterati i livelli di inquinamento e di cagionare l’avvelenamento delle acque destinate alla potabilità.

Nella specie, era stato contestato il delitto di avvelenamento di acque destinate all'alimentazione ed il reato di omessa bonifica ai vertici apicali di diverse Società, succedutesi nella gestione di un sito risultato inquinato nelle matrici suolo, sottosuolo e falda idrica. In particolare, erano state riscontrate perdite di acque industriali (di processo e di raffreddamento), che avevano creato un c.d. “duomo piezometrico” (massa di acqua che aveva invertito localmente la direzione della falda e determinato il dilavamento delle sostanze inquinanti presenti nei terreni); era stata contestata in giudizio anche l’omessa e/o mistificata rappresentazione del reale stato ambientale dell’area agli enti di controllo nonché la somministrazione - perdurante negli anni - dell’acqua emunta (dalla falda sottostante il sito industriale) sia alle abitazioni della frazione abitata di Spinetta Marengo, non ancora allacciate all’acquedotto comunale, sia ai lavoratori operanti nel sito (in quest’ultimo caso, attraverso la messa a disposizione di rubinetti di acqua in vari locali dello stabilimento).  Gli inquinanti rinvenuti nelle acque sotterranee erano: metalli (antimonio, arsenico,cromo esavalente, nichel e selenio) , composti inorganici ( floruri e solfati) , composti alifatici clorurati (cancerogeni e non cancerogeni), DDD, DDT e DDE.



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