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Corte di Giustizia dell'Unione europea - Sez. II - sentenza 13 luglio 2017, n. 129

Avv. Luisa Giampietro

Nella sentenza emessa dalla Corte di Giustizia nella causa C-129/2016 - all’esito di una richiesta di rinvio pregiudiziale sollevata, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, da un Tribunale Amministrativo e del Lavoro ungherese, la Corte di Lussemburgo si è pronunciata su due quesiti:

«1) se l’articolo 191 TFUE e le disposizioni della direttiva [2004/35] ostino a una normativa nazionale che consenta all’autorità amministrativa di protezione ambientale, spingendosi ben oltre il principio «chi inquina paga», di attribuire la responsabilità del risarcimento del danno ambientale in forma specifica al proprietario, senza la necessità di accertare previamente, nel merito, la sussistenza di un nesso causale tra la condotta di questo soggetto (utilizzatore) e l’evento di contaminazione.

2) In caso di risposta negativa alla prima questione e qualora, visto l’inquinamento atmosferico, non sia richiesta la riparazione del danno ambientale, se possa giustificarsi l’imposizione di un’ammenda per la tutela della qualità dell’aria, invocando le disposizioni più severe degli Stati membri consentite ai sensi dell’articolo 16 della direttiva 2004/35/CE e dell’articolo 193 TFUE, o se nemmeno tali disposizioni possano determinare l’imposizione di un’ammenda di natura meramente sanzionatoria al proprietario che non è responsabile dell’inquinamento».

Nella fattispecie, veniva in rilievo una sanzione (ammenda) imposta – in forza della normativa nazionale ungherese – al proprietario di un’area, che non aveva dimostrato in modo inequivocabile di non essere responsabile del danno/rischio ambientale prodotto nel sito. Il proprietario (una Società) era stato condannato dal Giudice nazionale al pagamento di un’ammenda per inquinamento atmosferico da incenerimento di rifiuti - in particolare metallici - avvenuto in tre siti di stoccaggio. L’area risultava concessa in locazione dal 15 marzo 2014 ad una persona fisica, risultata deceduta pochi giorni dopo (il 1° aprile 2014 ). Ai sensi della disciplina nazionale ungherese (art. 102 par. 1 della legge n. LIII del 1995 recante norme generali in materia di protezione ambientale) la responsabilità di un danno o di un rischio di danno ambientale ricade, salvo prova contraria, in solido su coloro che, dopo che si sia verificato detto danno o rischio, figurino quali attuali proprietari e possessori (utilizzatori) del fondo in cui ha avuto luogo la condotta dannosa o all’origine del rischio per l’ambiente (cfr. sent. in commento, punto 18). Quanto al primo quesito, la Corte ha evidenziato che – ai fini dell’applicabilità della direttiva sul danno ambientale (Dir. 2004/35/CE) – è necessario che il Giudice nazionale verifichi se nel procedimento principale (ossia quello pendente in sede nazionale) l’inquinamento dell’aria abbia potuto causare danno o minaccia di danno alle matrici ambientali, acqua, terreno, specie ed habitat naturali protetti (e ciò in virtù del considerando n. 4 della citata direttiva, cfr. punti 41-46 della sentenza in commento). Quanto al secondo quesito, la Corte ha affermato che spetta al Giudice del rinvio verificare la circostanza di fatto, secondo cui la proprietaria del fondo è stata destinataria di una mera sanzione pecuniaria punitiva e non di misure di prevenzione o di riparazione e che, ove tale circostanza fosse comprovata, la disciplina nazionale (in forza della quale è stata inflitta la citata ammenda) potrebbe non rientrare tra le disposizioni nazionali attuative della Dir. 2004/35/CE. La Corte di Giustizia ha comunque puntualizzato alcuni ed ulteriori elementi rilevanti. In primo luogo, ha evidenziato che l’art. 16 della Direttiva consente agli Stati di mantenere o di adottare disposizioni più severe, in materia di protezione e riparazione del danno ambientale, compresa l’individuazione di soggetti responsabili, ulteriori e diversi rispetto a quelli indicati dalla Dir. 2004/35/CE (punto 56 della sent.). In secondo luogo, ha chiarito che la normativa ungherese – imputando la responsabilità al proprietario, salvo che questi indichi l’utilizzatore dell’immobile e dimostri, al di là di ogni ragionevole dubbio, di non aver causato egli stesso il danno – è idonea a rafforzare il regime di responsabilità previsto dal diritto dell’Unione, poiché ha la finalità di evitare una carenza di diligenza da parte del proprietario e di incoraggiarlo a minimizzare i rischi (cfr. punto 57-58 della sent. cit.). Infine, quanto all’esigenza di compatibilità con i Trattati di una simile normativa nazionale, la Corte – richiamando precedenti pronunce – ha asserito che lo Stato, che intenda adottare misure più severe, deve comunque rispettare il diritto dell’Unione, tra cui figura il principio di proporzionalità (cfr. sentenza del 9 marzo 2010, ERG e a., C-379/08 e C.380/08).



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