Home Associazione Links Contatti
     
Editoriale Dottrina Giurisprudenza Convegni Segnalazioni
Cerca:

Segnala questo articolo Versione Stampabile Scaricare File

Il Consiglio di Stato si pronuncia sulle competenze in materia di identificazione dei criteri di End of Waste: un ritorno al passato?

Avv. Luisa Giampietro
(Brevi note sulla sentenza del Consiglio di Stato - Sez. IV - n. 1229 del 28 febbraio 2018)

Secondo la Sezione quarta del Consiglio di Stato, il destinatario del potere di determinare i criteri perché possa dirsi integrata la nozione di End of Waste (cessazione della qualifica di rifiuto) è – ai sensi della Direttiva 2008/98/CE – a livello nazionale solo ed esclusivamente lo Stato, che assume anche l'obbligo di interlocuzione con la Commissione europea.
La citata Direttiva sui rifiuti non riconoscerebbe, infatti, il potere di definizione "caso per caso" dei criteri EoW ad enti e/o ad organizzazioni interne allo Stato, ma solo allo Stato stesso.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada, infatti, la previsione della competenza esclusivamente statale - in materia di "declassificazione caso per caso" - sarebbe coerente, oltre che con la Direttiva 2008/98/CE, anche con l'art. 117 Cost.: nel caso in cui si riconoscesse ad ogni singola Regione di definire (in assenza di una normativa UE, id est: un regolamento (1) cosa debba intendersi o meno come rifiuto, risulterebbe vulnerata la ripartizione costituzionale delle competenze tra Stato e Regioni.
La fattispecie che ha dato luogo alla pronuncia è piuttosto interessante.
In primo grado, infatti, il TAR Veneto (Sez. III sent. 1422 del 28.12.2016) aveva accolto il ricorso di una Società, autorizzata nel 2014 in via sperimentale, ex art. 211 TUA ed ex art. 30 della L.R. Veneto n. 3/2000, a svolgere un’attività sperimentale di trattamento e recupero di rifiuti urbani e assimilabili (costituiti da pannolini, pannoloni ed assorbenti igienici) ed aveva annullato la deliberazione della Giunta regionale competente, con cui era stata respinta la richiesta di qualificare le attività svolte in un impianto come attività di recupero “R3” (finalizzate alla produzione di materie prime secondarie, c.d. MPS), classificandole invece come attività di messa in riserva di rifiuti (R13).
Il TAR Veneto aveva accolto entrambi i vizi dedotti dalla ricorrente, ossia violazione di legge ed eccesso di potere per difetto e/o contraddittorietà di motivazione.
Si evidenzia che, in sede di rilascio dell’ (originaria) autorizzazione in via sperimentale, le due frazioni recuperate dal processo di sanificazione dei pannolini (frazione composta di cellulosa in fiocchi e frazione composta di plastica in foglia) erano state classificate come rifiuti, rispettivamente con CER 19 12 01 (frazione cellulosica) e CER 19 12 04 (frazione plastica).
Nell’ottobre del 2015, la Società in questione aveva presentato una domanda di modifica dell’autorizzazione per ottenere la classificazione delle frazioni di materiale recuperato come materie prime secondarie (quattro le frazioni in uscita: 1. Frazione composta di cellulosa in fiocchi 2. Frazione composta di plastica in foglia 3. Frazione composta di plastica e cellulosa 4. Frazione di polimero superassorbente “SAP”).
Su tale istanza di modifica, la Commissione tecnica regionale aveva reso parere positivo alla Giunta regionale, esprimendo tuttavia parere negativo rispetto alla richiesta di mutare la classificazione delle operazioni di recupero, svolte nell’impianto da R 12 ed R13 a R3, e ciò sulla base della motivazione secondo cui un’Amministrazione regionale non avrebbe titolo, nell’ambito delle procedure istruttorie per il rilascio delle autorizzazioni all’esercizio di impianti di gestione di rifiuti, né per definire nuove materie prime seconde non contemplate dal DM 5.02.1998 né per identificare – caso per caso – i criteri per la cessazione della qualifica di rifiuto di materiali non ricompresi negli specifici regolamenti europei esistenti o in appositi decreti del Ministero dell’Ambiente.
La Giunta regionale aveva autorizzato la Società ad effettuare le modifiche all’impianto sperimentale e ad esercitare le attività, nel rispetto delle prescrizioni contenute nel parere, senza concedere la modifica relativa al mutamento della qualifica delle operazioni di recupero.
Secondo la sentenza di primo grado, sopra citata, l’assunto relativo alla mancata titolarità del potere di individuazione dei criteri End of Waste nel singolo atto di autorizzazione, era del tutto illegittimo, in quanto infondato in diritto, dovendo – al contrario – ribadirsi quanto già affermano in precedenti pronunce giurisprudenziali, ossia che la mancanza di regolamenti comunitari o di decreti ministeriali -relativi alle procedure di recupero di determinati rifiuti - lungi dal precludere sic et simpliciter il potere dell’Autorità competente di valutare caso per caso l’eventuale rilascio (nel rispetto delle quattro condizioni previste dall’art. 184-ter, c. 1 TUA) delle relative autorizzazioni, “comporta al contrario il potere ed il dovere di procedere ad una analisi, ad una valutazione e ad una decisione casistica, rilasciando un’autorizzazione integrata ambientale qualora la sostanza che si ottiene dal trattamento e dal recupero del rifiuto soddisfi le quattro condizioni previste dall’art. 184-ter c. 1 TUA, in conformità all’art. 6 della Dir. 2008/98/CE” (TAR Veneto, Sez. III sent. n. 1224/2016).
La sentenza emessa in primo grado aveva anche richiamato la Circolare del MATTM del 1° luglio 2016, in cui sono state ribadite le tre modalità alternative di definizione dei criteri di EoW (regolamenti UE, decreti ministeriali, autorizzazioni in via ordinaria o AIA, previo riscontro delle quattro condizioni ex art. 184-ter TUA).
Ebbene, sorprendentemente, il Consiglio di Stato ha ribaltato l’orientamento, pur consolidato a livello giurisprudenziale e ministeriale.
Sulla base dell’art. 6 della Dir. 2008/98/CE, il Consiglio di Stato (Sez. IV sentenza n. 1229 del 28 febbraio 2018 in commento) ritiene, infatti, che la disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto, pur riservata alla normativa comunitaria, possa essere (e solo in assenza di indicazioni di diritto unionale) integrata dagli Stati membri e solo da questi ultimi (previa notifica alla Commissione) e che la lettura “caso per caso” debba intendersi riferita non al singolo materiale da esaminare e – eventualmente – escludere dalla disciplina sui rifiuti, bensì a “tipologie di materiali”, da esaminare e fare oggetto di più generale previsione regolamentare, “a monte dell’esercizio della potestà provvedimentale autorizzatoria”.
Resta un certo sconforto, in chi scrive, nel constatare che, realisticamente, resteranno al di fuori dell’economia circolare proprio le realtà imprenditoriali più innovative, essendo del tutto inverosimile che queste ultime possano contare sull’adozione di criteri a livello ministeriale per “tipologie di materiali”.
Resta, inoltre, il sospetto che – ancora una volta – la sfiducia nelle capacità della nostra Pubblica Amministrazione di esercitare correttamente le funzioni cui è deputata, “imbrigli” il nostro sistema Paese, condannandolo all’immobilità di cui scontiamo, ogni giorno, il prezzo.

Roma, 6.03.2018

_________________________
(1) Attualmente sono vigenti nell'UE solo tre Regolamenti sull'EoW: il Reg. n. 33/2011 sui rottami di ferro, acciaio e alluminio; il Reg. n. 1179/2012 sui rottami di vetro ed il Reg. n. 715/2014 sui rottami di rame.



Segnala questo articolo Versione Stampabile Scaricare File

Associazione Giuristi Ambientali
tel. 06/87133093 - 06/87133080
Informativa privacy
powered By Diadema Sinergie