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Disastro ambientale innominato ex art. 434 c.p. - Consumazione del reato - Termini di prescrizione del reato

Cass. Sez. IV pen., sent. n. 47779/2018
Corte di Cassazione Sez. IV penale, sentenza n. 47779, ud. 28.09.2018, dep. 19.10.2018 (caso Bussi)

Il delitto di disastro colposo innominato ex art. 434 e 449 c.p. è integrato da un “macroevento”, che comprende non soltanto gli eventi disastrosi di grande immediata evidenza (crollo, naufragio, deragliamento ecc.), che si verificano in un arco di tempo ristretto, ma anche quegli eventi non immediatamente percepibili, che possono realizzarsi in un arco di tempo anche molto prolungato, che pure producano quella compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività, che consentono di affermare l’esistenza di una lesione della pubblica incolumità (conf. Cass. Sez. IV, n. 4675 del 17.05.2006, dep. 06.02.2007).

Il richiamato principio – già affermato dalla Suprema Corte - è stato successivamente ribadito allorché si è affermato che con l’espressione “altro disastro” viene in rilievo anche l’evento, non visivamente ed immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo di tempo molto prolungato, sempre che produca una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità; con la conseguenza che rientrano nella nozione di disastro innominato pure i fenomeni derivanti da immissioni tossiche che incidono sull’ecosistema e sulla qualità dell’aria respirabile, determinando imponenti processi di deterioramento, di lunga e lunghissima durata, dell’habitat umano (Cass. Sez. I, n. 7941 del 19.11.2014, dep. 23.02.2015).

Il momento di consumazione del reato coincide con l’evento tipico della fattispecie e, quindi, con il verificarsi del disastro, da intendersi come fatto distruttivo di proporzioni straordinarie, dal quale deriva un pericolo per la pubblica incolumità, ma rispetto al quale sono effetti estranei ed ulteriori il persistere del pericolo o il suo inveramento nelle forme della concreta lesione, per cui non rilevano ai fini dell’individuazione del c.d. dies a quo eventuali decessi o lesioni pur riconducibili al disastro stesso (conf. Cass. Sez. I n. 7941 ud. 19.11.14 dep. 23.02.2015).

Il reato di disastro ambientale è un reato istantaneo ad effetti permanenti, nella sua forma aggravata, il persistere del pericolo - come pure il suo inveramento quale concreta lesione della pubblica incolumità - non sono richiesti per la realizzazione del delitto, giacché non sono elementi del fatto tipico e non assumono rilievo rispetto alla consumazione del reato.

La fattispecie di disastro non può essere ricostruita secondo lo schema bifasico, ove ad una prima condotta commissiva farebbe seguito una seconda di natura omissiva, violativa dell’obbligo di far cessare la situazione antigiuridica prodotta. La tesi che ritiene configurabile un obbligo secondario di rimozione degli effetti nocivi, nell’ambito del reato di disastro ex art. 434 c.p., si risolverebbe nella violazione del principio di tipicità e tassatività che governa la materia penale.

In tema di disastro ambiente, anche dopo la legge 22 maggio 2015, n. 689, che ha introdotto specifici delitti contro l’ambiente disciplinati negli artt. 452-bis e ss c.p., la previsione di cui all’art. 434 c.p. continua a trovare applicazione nei processi in corso per fatti commessi nel vigore della disposizione indicata, sia in forza della clausola di riserva contenuta nell’art. 542-quater c.p., sia in virtù della certa inapplicabilità retroattiva della (più severa) nuova norma incriminatrice.

(Nella specie, la Suprema Corte ha cassato la sentenza emessa dalla Corte di assise di appello de L’Aquila nella parte in cui aveva ricondotto il concreto manifestarsi del persistente pericolo per la pubblica incolumità nell’alveo del disastro, individuando la consumazione del reato nel momento di recessione di tale fenomeno, coincidente con la dismissione del sito. Di conseguenza, la Corte ha confermato quanto affermato dai Giudici della Corte di Assise di Chieti, secondo cui il termine prescrizionale massimo, pari ad anni quindici, relativo al reato di disastro ex art. 434 c.p., tenuto pure conto delle intervenute sospensioni, era ampiamente decorso prima della sentenza di primo grado anche in riferimento all’ultimo degli episodi criminosi in addebito, collocabile al più tardi nel corso dell’anno 1997).

Per un commento alla sentenza di primo grado, si rinvia a: Luisa Giampietro, Caso Bussi: il reato di avvelenamento di acque destinate al consumo umano (parte prima e parte seconda), in Ambiente & Sviluppo n. 10/2015 ed 11/2015



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