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Procedure semplificate per impianti recupero dei rifiuti. Uso promiscuo

TAR Bologna, sentenza n. 8012/2010

Non esiste la pretesa distinzione tra impianto di produzione industriale ed impianto di recupero di rifiuti, bensì rapporto di genere a specie tra il primo e il secondo. Un impianto che, ai fini di una specifica produzione industriale (nel caso di specie: produzione di conglomerato bituminoso) utilizzi e tratti (anche)"rifiuti" è, per ciò stesso, qualificabile, ai fini della normativa ambientale, come "impianto di recupero di rifiuti" . Esso costituirà tutt'al più un impianto di tipo promiscuo, nella misura in cui tratti, con riferimento allo specifico settore produttivo in cui opera, "aggregati (o inerti) naturali" e materie prime vere e proprie, accanto ad "aggregati riciclati", permanendo tuttavia la sua qualificazione come impianto di recupero, in quanto nessuna norma richiede che siano processati esclusivamente o prevalentemente rifiuti ai fini di tale attribuzione.

(Nella specie, il Collegio ha osservato che, posto che rifiuto è “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A alla parte quarta del presente decreto e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi ” (art.183 Dlgs.152/06, comma 1, lett.a), che è recupero qualsiasi operazione che utilizzi ” rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti, attraverso trattamenti meccanici, termici, chimici o biologici, incluse la cernita o la selezione (art.183 DLgs 152/06, comma 1, lett.h ), e che, senza ombra di dubbio, l’impianto della ricorrente effettua, anche, tali operazioni, esso deve qualificarsi, ai sensi della normativa ambientale, ed agli effetti della sottoposizione alla relativa disciplina, quale impianto di recupero di rifiuti).

L'aumento di capacità di recupero, fino alla potenzialità massima comunicata, comporta - pur in assenza di modificazioni strutturali/edilizie- un ampliamento dell'impianto, sottoposto a verifica di assoggettabilità. Non vi può essere alcun dubbio che anche la modifica puramente gestionale, pur rimanendo invariata la struttura, configuri un ampliamento o un'estensione e pertanto rientri nel concetto di "modifica sostanziale". Tale soluzione, che considera anche il mero potenziamento produttivo, ove comporti superamento delle "soglie" previste per le varie categorie progettuali, nell'ambito delle "modifiche o estensioni di progetti già autorizzati, realizzati...che possono avere notevoli ripercussioni negative sull'ambiente...," è l’unica coerente con la funzione che la disciplina della VIA riveste nell'ordinamento nazionale e comunitario. Tale strumento è finalizzato infatti ad individuare,descrivere e valutare tutti gli effetti, diretti ed indiretti, permanenti o transitori,positivi e negativi, dei "progetti" sull'ambiente circostante, nelle sue componenti naturali ed antropiche. Ben si comprende, pertanto, che un impianto o un'infrastruttura debba essere valutata non solo per le sue caratteristiche "fisiche"(dimensione, localizzazione, ecc.) ma anche in ragione degli impatti che il suo funzionamento può avere sull'ambiente circostante. La correttezza di tale impostazione è confermata dalla giurisprudenza con specifico riferimento agli impianti che recuperano rifiuti non pericolosi. Il rapporto tra procedura semplificata ed impianti che recuperano rifiuti è oggetto della nota pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23.11.2006, causa C-486/04, che ha sanzionato per inadempimento l’Italia, per aver adottato, nella normativa nazionale di recepimento della direttiva 85/337/CEE, un “criterio inadeguato”, escludendo dalla valutazione di impatto ambientale i progetti di impianti che effettuano operazioni di recupero dei rifiuti in procedura semplificata ex D.Lgs n.22/1997. Tale criterio è inadeguato “nella misura di cui può portare ad escludere dalla detta valutazione progetti che hanno un impatto ambientale rilevante”, e non tiene conto dei parametri di selezione fissati nell’Allegato III della citata direttiva 85/337/CEE. Esiste una netta distinzione fra finalità dell’attività di recupero (preservare le risorse naturali) e modalità con le quali l’attività di recupero è effettuata, potendo esse comportare, al pari di quella di smaltimento, rilevanti ripercussioni per l’ambiente. Dal momento che le operazioni di smaltimento e di recupero di rifiuti si distinguono per lo scopo perseguito e non per i mezzi adoperati, la normativa nazionale non può dispensare anticipatamente dall’ambito di applicazione della disciplina sulla VIA gli impianti che effettuano operazioni di recupero di rifiuti non pericolosi, senza averne previamente accertato in concreto la loro incidenza ambientale.


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