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Successione di proprietari su un sito inquinato

TAR Firenze, n. 573/11

La normativa di cui al d.lgs. n. 22/1997 ha reso strutturale e permanente la medesima condotta incriminata dalla norma transitoria ex art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982, ampliandola e precisandola ulteriormente alla stregua del combinato disposto degli artt. 17 e 51-bis del predetto “decreto Ronchi”. D’altro lato, al pari dell’art. 17 del d.lgs. n. 22/1997, l’art. 32, secondo comma, cit. ha prescritto un obbligo personale di fare, che si sostanzia in un comportamento attivo, tanto che la costante giurisprudenza ha configurato la relativa fattispecie criminosa quale reato permanente, in quanto l’attività illecita persiste con la ripetuta inerzia del soggetto obbligato ad intervenire al fine di evitare l’effetto temuto. Ne deriva che la pur riconosciuta diversità di regime giuridico e, per conseguenza, la mancanza di continuità normativa tra gli artt. 2043, 2050 e 2058 c.c., da un lato, e l’art. 17 del cd. decreto Ronchi, dall’altro, non impedisce di applicare il comando contenuto nel medesimo art. 17 a soggetti estintisi prima del 1997 ad al successore universale di tali soggetti, in forza del nesso di nesso di continuità normativa esistente tra gli artt. 17 e 51-bis del d.lgs. n. 22 cit. e l’art. 32, secondo comma, del d.P.R. n. 915/1982.

L’inquinamento è situazione permanente, in quanto perdura fino a che non ne siano rimosse le cause ed i parametri ambientali siano riportati entro i limiti normativamente accettabili: ciò comporta che le previsioni del d.lgs. n. 22/1997 vanno applicate a qualunque sito risulti attualmente inquinato, a prescindere dal momento nel quale possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell’attuale situazione patologica. Ne deriva l’applicabilità dell’art. 51-bis del d.lgs. n. 22/97 a qualsiasi situazione di inquinamento in atto al momento dell’entrata in vigore del predetto decreto legislativo. La norma collega infatti la pena non al momento in cui viene cagionato l’inquinamento o il relativo pericolo, ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, secondo la procedura di cui all’art. 17. Non si tratta, perciò, di dare alla norma portata retroattiva, ma di applicare la legge ratione temporis, onde far cessare gli effetti (che solo la bonifica può elidere) di una condotta omissiva a carattere permanente: la sanzione, cioè, colpisce non l’inquinamento prodotto in epoca precedente, ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo. In questo senso depone anche la giurisprudenza della Cassazione penale, secondo cui l’art. 51-bis cit. si configura quale reato omissivo di pericolo presunto, che si consuma ove il soggetto non proceda ad adempiere l’obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dal precedente art. 17 (cfr. Cass. pen., Sez. III, 28 aprile 2000, n. 1783

(Nella specie, il Collegio ha ricordato che altra giurisprudenza ha messo in evidenza come la soluzione ora vista, che porta ad applicare l’art. 17 del “decreto Ronchi” anche a situazioni di inquinamento per le quali il fatto generatore risalisse ad epoca remota, a condizione che fossero in atto al momento dell’entrata in vigore del decreto legislativo, richiede che il soggetto autore dell’inquinamento esista già prima di tale entrata in vigore e continui ad esistere anche dopo. Ciò, perché è necessario individuare una partecipazione causale di questo soggetto nell’eziogenesi del danno, pur potendosi suddividere la condotta in due fasi, una commissiva, e l’altra omissiva ed avente ad oggetto la non eliminazione delle conseguenze dell’evento. Nei casi, però, di successione a titolo universale non si ravviserebbe nessuna partecipazione causale del successore all’eziogenesi dell’evento, con il corollario che l’applicazione dell’art. 17 al successore stesso incorrerebbe, anche sotto il profilo in esame, nella violazione del principio di irretroattività ex art. 11 delle preleggi. Nemmeno può condividersi l’obiezione avanzata in argomento da altra giurisprudenza secondo la quale la tesi del reato permanente potrebbe essere usata per sostenere l’applicazione del cd. decreto Ronchi anche a situazioni di inquinamento in atto al momento della sua entrata in vigore, ma il cui fatto generatore risalga nel tempo, solo se il soggetto, autore della condotta in epoca anteriore al d.lgs. n. 22 cit., non si sia nel frattempo estinto, in quanto ad ipotizzare diversamente la fattispecie dell’illecito sarebbe arbitrariamente scomposta e la porzione imputabile al successore universale consisterebbe nel solo evento, che però, considerato isolatamente, non può dar luogo a nessuna responsabilità. Infatti, non c’è alcuna scomposizione arbitraria dell’illecito nella condotta (commissiva e da attribuire al soggetto estinto) e nell’evento, che rimarrebbe in capo al successore universale, poiché anche a quest’ultimo viene imputata una condotta (stavolta di tipo omissivo), consistente nel non essersi attivato per rimediare alle conseguenze lesive dell’illecito, in ragione della cd. posizione di garanzia originata dalla pregressa condotta commissiva (realizzata dal dante causa e trasmessasi jure successionis).

La fusione di società determina una situazione giuridica corrispondente alla successione universale e produce l’estinzione delle società che partecipano alla fusione o della società incorporata, nonché il contestuale sub-ingresso della società risultante dalla fusione o di quella incorporante nella titolarità dei rapporti giuridici atti e passivi facenti capo alle società estinte.

(Nella specie, il Collegio ha sottolineato la continuità giuridica tra il soggetto titolare della concessione mineraria per l’Isola d’Elba e la ricorrente, dovendosi condividere la tesi della Regione, per la ricorrente è diretta espressione del medesimo soggetto che, tramite varie trasformazioni societarie e senza soluzione di continuità, ha sfruttato i siti minerari in questione. Il Collegio precisa, inoltre, che Tanto la disciplina codicistica vigente al tempo della scadenza della concessione mineraria (1982) ed al tempo della fusione per incorporazione, quanto la disciplina introdotta dal d.lgs. n. 22/1991, recante il recepimento delle direttive n. 78/855/CEE e n. 82/891/CEE in materia di fusioni e scissioni societarie, e vigente nel 1997 (cioè al tempo dell’emanazione del cd. decreto Ronchi), quanto infine quella odierna, introdotta con il d.lgs. n. 6/2003 sanciscono la continuità nei rapporti giuridici tra le società succedutesi nel tempo e la ricorrente).

Nel nuovo regime di diritto societario, la fusione per incorporazione non può determinare l’estinzione della società incorporata, dando luogo essa, invece, ad una vicenda evolutiva del medesimo soggetto, che conserva la propria identità pur in un nuovo assetto organizzativo costituito dall’integrazione reciproca delle società che partecipano all’operazione. Analogamente, in caso di fusione paritaria, non c’è la creazione di alcun nuovo soggetto di diritto Gli argomenti addotti da questa giurisprudenza si fondano, essenzialmente, sulla valorizzazione del dato letterale del nuovo art. 2504-bis c.c., che – a differenza del precedente – non contiene più il riferimento all’effetto estintivo della fusione, e che, inoltre, sottolinea come la società risultante dalla fusione o quella incorporante proseguano in tutti i rapporti (anche processuali) anteriori alla fusione.

(Nella fattispecie, il Collegio ha evidenziato che dalla ricognizione del contesto normativo di riferimento non discende, tuttavia, nel caso di specie, alcuna negazione della continuità dei rapporti giuridici tra le società preesistenti, fusesi per incorporazione (alle quali è riconducibile per vari passaggi lo svolgimento dell’attività estrattiva), e l’odierna ricorrente.


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