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Disciplina applicabile al percolato

Cassazione penale, n. 7214/11

I "rifiuti allo stato liquido" sono costituiti da acque reflue di cui il detentore si disfa, senza versamento diretto, non convogliandoli cioè in via diretta in corpi idrici ricettori, bensì avviandoli allo smaltimento, trattamento o depurazione a mezzo di trasporto. Alla stregua del principio generale – secondo il quale è l'interruzione del nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo idrico ricettore a ricondurre la gestione delle acque reflue medesime nell'ambito dei rifiuti – va individuata la disciplina del "percolato", definito quale "liquido che si origina prevalentemente dall'infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi". Il "percolato", dunque, ben può assumere la connotazione di "rifiuto", ma ciò soltanto allorquando lo stesso non si configuri quale acqua sostanzialmente "di processo" direttamente smaltita in un corpo idrico ricettore.

(Nella specie, invece, Il Collegio ha sottolineato che non si adduceva in ricorso l'insussistenza di un nesso funzionale e diretto delle acque reflue con il corpo idrico ricettore).

Il principio della correlazione tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza non va inteso in senso rigorosamente formale o meccanicistico ma, conformemente al suo scopo ed alla sua funzione, in senso realistico e sostanziale. La verifica dell'osservanza di detto principio non può esaurirsi, quindi, in un pedissequo e mero confronto puramente letterale tra contestazione e sentenza, ma va condotta sulla base della possibilità assicurata all'imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto, sicché deve escludersene la violazione ogni volta che non sia ravvisabile pregiudizio delle possibilità di compiuta difesa. Con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione" e "... vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione”.

(Nella fattispecie, il Collegio ha evidenziato che i contenuti essenziali dell'addebito erano riferiti, nel capo di imputazione, alla effettuazione dello scarico del percolato prodotto in un impianto di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, ed in relazione a tale condotta illecita l'imputato ha avuto piena possibilità di difendersi ed era stato condannato previa corretta qualificazione di quel percolato quale acqua di scarico non domestica e senza alcuna immutazione dell'addebito).

La qualificazione è corretta, perché le "acque reflue domestiche" sono quelle "provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche"; mentre la nozione di "acque reflue industriali' ricomprende "qualsiasi tipo di scarico di acque reflue scaricate da edifici in cui si svolgono attività commerciali e industriali, diverse dalle acque reflue domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento").

Il legale rappresentante di una società esercente un impianto di trattamento e smaltimento di rifiuti solidi urbani è tenuto, quale destinatario degli obblighi previsti dalle norme di settore, ad osservare le disposizioni legislative, regolamentari e provvedimentali in materia di tutela dell'ambientale, nonché a richiedere tutte le prescritte autorizzazioni. Tale soggetto, inoltre, non può essere esonerato dalla responsabilità personale a causa dell'eventuale responsabilità concorrente di colui che in concreto gestisce l'impianto, tenuto conto che il legale rappresentante dell'ente imprenditore risponde pur sempre a titolo di colpa per inosservanza del dovere di adottare tutte le misure tecniche ed organizzative di prevenzione del danno da inquinamento.

In tema di tutela delle zone paesistiche, configura il reato di cui all'art. 181, 1° comma, del D.Lgs. n. 42/2004 qualunque modificazione dell'assetto del territorio, in assenza di autorizzazione, attuata attraverso interventi di qualsiasi genere, in quanto con le disposizioni a tutela del paesaggio si è inteso assicurare una immediata informazione ed una preventiva valutazione da parte della pubblica Amministrazione dell'impatto sul paesaggio di ogni tipo di attività intrinsecamente idonea a comportare modificazioni ambientali e paesaggistiche.

(Nella specie, l'esistenza del vincolo paesaggistico non poteva porsi in dubbio, visto che l'attività incriminata si svolgeva all'interno del Parco nazionale del Pollino, ed i giudici del merito avevano accertato una effettiva compromissione dei valori del paesaggio indotta dall'insudiciamento evidente delle acque di un torrente e dell'invaso di una diga).


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