H. Böll, Le opinioni di un clown
La particolarità della normativa italiana
La “particolarità” della normativa italiana in materia (non solo) di tutela dell’ambiente risiede nella sua perenne precarietà, dovuta certamente ad una serie di motivazioni di ordine tecnico (la difficoltà di definire con precisione alcuni concetti chiave, connessa con le continue innovazioni tecnologiche, che hanno costretto – e costringeranno – i legislatori a rivedere spesso i concetti posti alla base delle normative ambientali che, anche sulla presenza di quelle tecnologie, basavano la loro costruzione amministrativo-burocratico-sanzionatoria) ma, soprattutto, alle infinite emergenze ambientali – mai curate in precedenza – da tamponare, di volta in volta, con provvedimenti ad hoc (che per loro natura sono privi di una visione sistematica e unitaria), spesso non coerenti fra di loro, quasi sempre differenti da regione a regione, e sovente difformi dal dettato comunitario.
Nel suo recente intervento all’inaugurazione dell’anno giudiziario, il Procuratore generale della Cassazione, Vitaliano Esposito ha sottolineato che, nel contesto generale di inadeguatezza del sistema giudiziario – i cui effetti negativi non riguardano solo il vivere civile, ma si riverberano sulle imprese, sul mondo del lavoro e sulle casse dell’erario – “occorrono scelte coraggiose e condivise, di profilo alto, che sappiano rivolgere lo sguardo, oltre il breve periodo, all’interesse della collettività ”.
Nella società moderna insorgono a ritmo continuo nuovi interessi, nuove esigenze, nuove istanze di tutela (è il fenomeno c.d. della litigation explosion) – fra le quali quella della tutela dell’ambiente – che il legislatore rincorre e, “quando interviene, lo fa sovente con ritardo, allorché essi si sono consolidati; la loro tutela resta medio tempore affidata al giudice, chiamato alla difficile opera di colmare i vuoti di disciplina ”.
Le conseguenze di tale particolare “modus operandi” consistono:
- nel caricare la funzione giurisdizionale del “gravoso e delicato compito di regolazione dei contrasti che emergono e di tutela di «nuovi» diritti, negli spazi che il legislatore lascia aperti”;
- nel moltiplicarsi del contenzioso ordinario, “alimentato a sua volta da contingenze economiche che accentuano la criticità dei rapporti civili e commerciali, in una sorta di circolarità tra cause ed effetti”;
- nella difficoltà che le “plurime istanze di tutela” trovino una risposta soddisfacente, “perché restano impigliate in complessi meccanismi processuali, articolati in una molteplicità di mezzi di impugnazione, che consentono l’accesso al riesame di legittimità anche per questioni di infimo interesse”, e
- nella correlata impossibilità di scorgere, in tempi brevi, e a legislazione invariata, un rimedio.
In questa prospettiva, conclude il Procuratore generale, “risulta irrinunciabile, oggi più che mai avvicinarsi sempre più alle istituzioni europee e non chiudersi in pericolosi, quanto anacronistici localismi”, sviluppando la tutela sopranazionale dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Nonostante questa più che condivisibile affermazione, ad oggi l’Italia è sottoposta a 132 procedure d’infrazione per violazione del diritto dell’Unione o per mancato recepimento di direttive, di cui ben 33 in materia ambientale , sette delle quali riguardano la non corretta gestione dei rifiuti : la più eclatante fra queste ultime è quella relativa all’emergenza rifiuti in Campania (punto e) della nota 4), in relazione alla quale la Corte di Giustizia, con la sentenza nella causa C-297/08 del 4 marzo 2010 ha stabilito che “la Repubblica italiana, non avendo adottato, per la regione Campania, tutte le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, non avendo creato una rete adeguata ed integrata di impianti di smaltimento, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 4 e 5 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 5 aprile 2006, 2006/12/CE, relativa ai rifiuti”.
Di recente, la problematica relativa alla perenne emergenza rifiuti in Campania, e all’(im)possibilità di veder tutelati i diritti alla salute e all’ambiente, è stata affrontata in due importanti sentenze:
- nella prima, datata 10 gennaio 2012, la CEDU – la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – ha nuovamente condannato l’Italia per non aver rispettato gli artt. 8 e 13 della Convenzione dei diritti dell’uomo, che assicurano, rispettivamente, il diritto al rispetto della vita privata e familiare di ogni persona e il diritto alla tutela giurisdizionale effettiva;
- nella seconda, dello scorso 8 febbraio 2012, il TAR di Napoli (n. 676/12) ha accolto il ricorso presentato da un’Associazione ambientalista contro il silenzio serbato dal Ministero su un’istanza di avvio del procedimento amministrativo teso all’adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino previste dal TUA, dichiarando l’obbligo del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare di provvedere sulla denuncia dei ricorrenti nel termine di giorni novanta dalla notificazione della decisione.
Il testo completo dell'articolo è consultabile nel numero 7/12 della rivista
Ambiente & Sviluppo, edita da IPSOA.