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Localizzazione in area agricola e ponderazione nel concreto dei diversi interessi

TAR de L'Aquila

È illegittimo il provvedimento con il quale la Regione nega l’avvio del procedimento di autorizzazione unica (regolato dalle concludenti fasi istruttorie previste dall’art. 12 del decreto legislativo 387/03), sulla base della considerazione che l’impianto progettato è in contrasto con il divieto di attività industriali in zona agricola. Tale diniego si pone in antitesi con quanto statuito dall’art. 12 comma 7 del decreto legislativo 387/03, che ben consente tali iniziative anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici: Ovviamente ciò non postula che gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili possano sempre essere ubicati in zona agricola, dovendosi nella appropriata sede istruttoria verificare (tra le altre questioni) la compatibilità della localizzazione dell’impianto con le peculiari esigenze legate alla vocazione del territorio; ciò non di meno risulta inibito alla Regione procedere ad automatici meccanismi preclusivi invocando una destinazione urbanistica comunque non incompatibile con la realizzazione di opere che –una volta debitamente autorizzate - comunque si caratterizzano per essere di pubblica utilità, indifferibili ed urgenti.

(Nella specie, il Collegio ha evidenziato che anche la disposizione statale risulta peraltro espressamente condivisa anche dalla normativa regionale abruzzese, ai sensi della delibera di Giunta n. 351 del 12 aprile 2007 art. 5 allegato A, sulla procedura territoriale di rilascio dell’autorizzazione unica. Né risulta corretta l’applicazione interpretativa del Piano Regionale per la Tutela della Qualità dell’Aria il quale, nel prevedere il generale divieto di attività industriali e/o artigianali in zona agricola, non si riferisce a strutture così peculiari come gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili, in disparte ovviamente l’inidoneità di una simile pianificazione regionale a prevalere (nel caso di effettivi conflitti) sui diversi ed inderogabili principi della legislazione statale in precedenza illustrati).

Nel settore delle fonti rinnovabili di energia, non è possibile richiedere un risarcimento dei danni per “ristoro da spettanza”, volto a riconoscere una compensazione monetaria fondata su un oggettivo affidamento circa la conclusione positiva del procedimento autorizzativo.

(Nella specie, Il Collegio ha evidenziato che si tratta di una richiesta non proporzionata rispetto all’oggetto del giudizio ed alla pronuncia di accoglimento, vertendosi in ordine all’illegittimità di un diniego di avvio del procedimento in una materia che riserva alle autorità coinvolte nel procedimento medesimo ampi poteri di valutazione e di ponderazione che non consentono di desumere ex ante –pur senza poterlo escludere- il definitivo riconoscimento della pretesa sostanziale. Né risultano azionabili minori quantificazioni basate sulle chance di successo, visto che a tale meccanismo di liquidazione si perviene solo allorquando dovesse ormai restare preclusa –per l’irreversibile sopraggiungere degli eventi- la possibilità di giungere ad una riedizione del procedimento, in conformità agli statuti della sentenza di accoglimento).

L’azione di danno per colpevole ritardo dell’Amministrazione è idonea a consentire il riconoscimento di pregiudizi collegati alla violazione di regole procedimentali, senza che tale voce risarcitoria resti condizionata dalla fondatezza della domanda proposta e non tempestivamente evasa. Resta tuttavia inteso che anche il danno da ritardo “puro” postula la prova lesiva di un bene giuridicamente protetto diverso ed ulteriore rispetto alla mera perdita di tempo, ponendosi il fattore temporale quale mero nesso causale tra fatto e lesione.

(Nella fattispecie, il Collegio ha sottolineato che la ricorrente ha operato un generico ed ininfluente richiamo “alle somme destinate per l’investimento che la stessa non ha potuto diversamente utilizzare in attesa della definizione del procedimento”, specificando che la disponibilità e la vicinanza della prova avrebbe imposto alla ricorrente medesima di specificare voce per voce il pregiudizio determinatosi sul capitale stanziato a causa dell’incertezza prolungata sull’esito dell’istanza, senza che tale inerzia possa risultare aliunde rimediata dalla richiesta contestualmente avanzata di “…una consulenza tecnica d’ufficio al fine di quantificare il pregiudizio sin qui sofferto”, istituto quest’ultimo che non può ovviamente sopperire alla carenza probatoria di chi assume genericamente di aver sofferto danni risarcibili).


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