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Rifiuti - Attività organizzate per il traffico illecito dei rifiuti - raccolta di abiti dismessi ed accessori

Cass. pen., sez. III, n.32955/2013

Cassazione Penale, sezione III, sent. 30 luglio 2013, n. 32955

Gli elementi costitutivi dell’art. 260 del d.lgs. 152/2006 sono: a) la finalità di conseguire un ingiusto profitto; b) la pluralità delle operazioni e l’allestimento di mezzi e attività continuative ed organizzate; c) la cessione, ricezione, il trasporto, l’esportazione, l’importazione, o comunque la gestione di rifiuti; d) l’abusività di tali attività; e) l’ingente quantitativo di tali rifiuti. La sussistenza di detti elementi costituisce il discrimine tra la fattispecie di cui all’art. 260 e quella di cui al precedente art. 256, comma 1 del T.U.A. Quest’ultima disposizione, a differenza dell’art. 260 D. Lgs. n. 152/2006, non richiede né il dolo specifico di profitto, né la predisposizione di mezzi o la continuità della condotta, né l’ingente quantitativo di rifiuti.

Quanto al requisito dell’abusività dell’attività, sempre secondo la Corte, esso deve ritenersi integrato sia qualora non vi sia autorizzazione (Cass. Pen. Sez. III, 13 luglio 2004, n. 30373) sia quando vi sia una totale e palese difformità da quanto autorizzato (Cass. Pen. Sez. III, 6 ottobre 2005, n. 40828).

In relazione al requisito dell’ingente quantitativo di rifiuti gestiti, la Corte ha affermato che sono applicabili le normali regole sulla formazione e la valutazione della prova; di talché la quantità di rifiuti può essere desunta, oltre che da misurazioni direttamente effettuate, anche da elementi indiziari, quali i risultati di intercettazioni telefoniche, l’entità e le modalità di organizzazione dell’attività di gestione, il numero e le tipologie dei mezzi utilizzati e il numero dei soggetti che partecipano alla gestione stessa. Non rivestono pertanto alcuna rilevanza, nella configurazione del reato di cui all’art. 260 T.U.A., le motivazioni relative alle autorizzazioni, alla tipologia dei rifiuti, all’esistenza dei formulari qualora la veridicità degli stessi venga confutata dal complessivo quadro istruttorio.

(Nella specie, il procedimento penale aveva tratto origine dall’ordinanza del Tribunale di Potenza del 17 luglio del 2012, con la quale era stato confermato il decreto di sequestro preventivo emesso in data 13 giugno 2012 dal Gip dello stesso Tribunale.

Il decreto di sequestro preventivo aveva ad oggetto i camion del ricorrente, in relazione all’illecita condotta di una pluralità di soggetti che avevano dapprima organizzato la raccolta di abiti dismessi ed accessori (prodotti come rifiuti urbani dai privati), ed in seguito avevano affidato alla vendita presso il mercato interno ed esterno, in assenza delle attività di recupero previste ex lege, consistenti nella fumigazione e disinfestazione dei rifiuti urbani, idonee a trasformare gli abiti in materie prime secondarie ex art. 183 c. 1 lett. q).

La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso perché basato su motivi aventi ad oggetto esclusivamente la valutazione dei fatti operata dal Tribunale e non, invece, l’interpretazione della principale fattispecie incriminatrice (art. 260, d.lgs. 152/2006), diversa da quella prospettata dal Tribunale di Potenza).



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