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Portata ed effetti dei principi di tutela ambientale (precauzione e proporzionalità) nel T.U.A. e succ. mod.

TAR Campania, n. 3727/10

Il principio di precauzione, secondo cui è consentito alla P.A. di adottare i provvedimenti necessari laddove paventi il rischio di una lesione di un interesse tutelato, anche in mancanza di un rischio concreto, deve armonizzarsi con il principio di proporzionalità, secondo cui le pubbliche autorità non possono imporre, con atti normativi e amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà dei cittadini in misura superiore a quella strettamente necessaria al raggiungimento dello scopo. Ne consegue che tutte le decisioni adottate dalle autorità, competenti in materia ambientale, devono essere assistite da un apparato motivazionale particolarmente rigoroso, che tenga conto di un’attività istruttoria parimenti ineccepibile.

È esclusa, nel nostro ordinamento, qualsiasi “responsabilità da posizione” per eventi di inquinamento (TAR Sicilia – Catania sent. 1254/2007). Anche volendo superare la natura di risarcimento in forma specifica degli obblighi di bonifica, accentuandone l’aspetto sanzionatorio, la disciplina dell’illecito ambientale non può essere invocata per giustificare l’eventuale qualificazione della responsabilità ambientale in termini di responsabilità oggettiva, perché – in materia di sanzioni amministrative – la legge non la prevede. L’imputazione dell’evento pregiudizievole, inoltre, non può mai prescindere dalla verifica del nesso eziologico tra l’attività dell’impresa e la lesione del bene ambientale/sanitario. La dimostrazione della sussistenza del nesso di causalità in concreto deve fondarsi su una previa, rigorosa indagine scientifica, che individui cause ed effetti dei fenomeni naturali sui quali devono essere assunte le determinazioni dell’Autorità, dietro ponderata valutazione amministrativa, senza che tra i due piani – quello scientifico e quello discrezionale politico-amministrativo – si verifichino inaccettabili commistioni.

(Nella specie, il G.A. ha annullato i provvedimenti comunali di sospensione ad horas di ogni ciclo di produzione connesso all’attività di un’impresa di recupero di biomasse organiche mediante naturale metodo di trasformazione delle sostanze organiche per via microbiologica. Su segnalazione della locale ASL, ed a seguito di un monitoraggio dell’ARPAC svolto sui livelli di ammoniaca presenti nell’aria nei pressi dell’azienda, il Comune aveva concluso che la lavorazione svolta nello stabilimento fosse all’origine dei composti acidi e solforati costituenti le frazioni odorigene a maggior impatto olfattivo, causa delle molestie riscontrate nei dintorni dell’insediamento, non abbattibili anche nelle migliori condizioni di utilizzo. In sede di consulenza tecnica, rileva il G.A., è emerso, però, che il valore più elevato di ammoniaca era riscontrabile a 500 m dall’impianto mentre in prossimità dello stesso la concentrazione della sostanza era più bassa e che il pH della soluzione di acido solforico presentava, alla determinazione, un valore compatibile con le prescrizioni del manuale d’uso dell’impianto. Inoltre, la circostanza che dal monitoraggio non fosse possibile stabilire se l’effettiva provenienza delle maleodoranze fosse riconducibile all’impresa ricorrente o al contesto limitrofo - area agricola ove è utilizzato concime e sulla quale insistono impianti di smaltimento di liquami e CDR – ha indotto il G.A. ad escludere la dimostrazione del nesso causale tra condotta ed evento).


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