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Responsabilità del curatore fallimentare per l'inquinamento di siti contaminati

TAR di Firenze, n. 910/10

In relazione alla posizione del curatore fallimentare, ed in particolare per quanto concerne la legittimazione passiva di quest'ultimo rispetto all'impartito ordine di smaltimento, in linea di principio si deve sottolineare che i rifiuti prodotti dall'imprenditore fallito non costituiscono beni da acquisire alla procedura fallimentare e, quindi, non formano oggetto di apprensione da parte del curatore.

Posto che, a fondamento dell’obbligo di ripristino e messa in sicurezza conseguente a contaminazione del suolo e dell’ambiente il nostro ordinamento pone il principio della responsabilità, l'esercizio dei poteri è subordinato alla circostanza che il destinatario dell'ordine risulti responsabile dello smaltimento abusivo o dell’inquinamento almeno a titolo di colpa, non potendosi configurare a suo carico una responsabilità di tipo oggettivo. Anche nei confronti del curatore fallimentare non è, dunque, configurabile alcun obbligo ripristinatorio in ordine all'abbandono dei rifiuti in assenza dell’accertamento univoco di un’autonoma responsabilità del medesimo conseguente alla presupposta ricognizione di comportamenti commissivi, ovvero meramente omissivi che abbiano dato luogo al fatto antigiuridico.

(Nella specie, il Collegio, nell’escludere la responsabilità del curatore fallimentare, ha sottolineato che, in difetto della ascrivibilità soggettiva della condotta preordinata allo scarico abusivo dei rifiuti, all'Amministrazione competente residua la possibilità di procedere all'esecuzione d'ufficio "in danno dei soggetti obbligati ed al recupero delle somme anticipate" che, nel caso di specie, può avvenire mediante insinuazione del relativo credito nel passivo fallimentare).


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