L’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 è ispirato al principio di semplificazione, e prevede non solo che la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili siano assoggettati a una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione, previo svolgimento di una Conferenza dei servizi alla quale sono chiamate a partecipare tutte le amministrazioni interessate, ma anche che il termine finale massimo per la conclusione del procedimento non può comunque essere superiore a centottanta giorni.
In base ai principi posti dai comma 3 e 4 di tale articolo, la costruzione e l'esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili richiede ‘un’autorizzazione unica’, a seguito di ‘un procedimento unico’, al quale partecipano tutte le Amministrazioni interessate, mediante conferenza dei servizi. In tal modo, le determinazioni delle amministrazione interessate, devono essere espresse solo in sede di conferenza di servizi, così da assicurare l’unicità del procedimento, mediante il coordinamento dei vari interessi pubblici, rilevanti per l’autorizzazione unica finale.
In tale contesto normativo, dunque, tutte le amministrazioni devono esprimere il proprio avviso in sede di conferenza dei servizi, dal momento che l’intento del Legislatore statale è stato chiaramente quello di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione. Onde perseguire tale obiettivo si è operata una drastica semplificazione del relativo procedimento autorizzatorio, realizzata attraverso la concentrazione dell’apporto valutativo di tutte le amministrazioni interessate nell’ambito di un’apposita Conferenza dei Servizi, da svolgere in vista dell’adozione di un unico provvedimento conclusivo dal contenuto espresso e polistrutturato.
(Nella fattispecie, il Collegio ha ravvisato molte ed evidenti anomalie che hanno determinato un deragliamento procedimentale che ha segnato l’inizio di una manifesta maladministration risoltasi poi, a causa del successivo e determinante contributo colposo dell’Arta e della C.P.T.A. di Ragusa, in un macroscopico e ingiustificato superamento, non soltanto del termine finale stabilito per la conclusione del procedimento ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 – espressione di un principio fondamentale che si impone, vincolandola, perfino sulla legislazione concorrente regionale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia – ma anche dei ristretti termini imposti dall’art. 269 del D.Lgs. n. 152/2006, con conseguente lesione degli interessi pretensivi).
Il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, qualora incidente su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini o imprese, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.
(Nella specie, il Collegio – nel sottolineare che la possibilità di una previsione in ordine alla positiva, futura conclusione del procedimento in questione era già stata ampiamente comprovata dall’avvenuto rilascio dell’autorizzazione unica – ha accolto la domanda risarcitoria fondata sul ritardo dell’amministrazione nel rilascio di un provvedimento autorizzatorio alle emissioni in atmosfera, cui la conferenza di servizi aveva condizionato il rilascio dell’autorizzazione unica ex art. 12 d.lgs. n. 387/2003. Tale ritardo, protrattosi per oltre tre anni, era stato causa della revoca di un contributo comunitario previamente concesso).