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Tutela delle acque e deroghe alla normativa nazionale

Corte Costituzionale, n. 44/11

La direttiva n. 2000/60/CE promuove la protezione delle acque territoriali e marine, e la realizzazione degli obiettivi degli accordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire ed eliminare l’inquinamento dell’ambiente marino, con l’eliminazione graduale degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di sostanze pericolose al fine ultimo di pervenire a concentrazioni, nell’ambiente marino, vicine ai valori del fondo naturale per le sostanze presenti in natura e vicine allo zero per le sostanze sintetiche antropogeniche. Tra i requisiti minimi del programma di misure adottande dagli Stati membri, vi è l’assunzione delle iniziative necessarie per non accrescere l’inquinamento delle acque marine, precisandosi anche che l’attuazione delle misure adottate non può in nessun caso condurre, in maniera diretta o indiretta, ad un aumento dell’inquinamento delle acque. La legislazione nazionale di settore appronta una tutela delle acque attraverso una complessa attività di pianificazione, di programmazione e di attuazione, al fine, fra l’altro, di proteggere le acque territoriali e marine e realizzare gli obiettivi degli accordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire ed eliminare l’inquinamento dell’ambiente marino, allo scopo di arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, e comunque impedirne ulteriori deterioramenti. Strumento fondamentale di programmazione, attuazione e controllo è il Piano di tutela delle acque, per l’individuazione degli obiettivi minimi di qualità ambientale per i corpi idrici, stabiliti dalle norme tecniche dello stesso Codice dell’ambiente, che la Regione deve predisporre e aggiornare, in vista del progressivo raggiungimento degli obiettivi di qualità. La stessa disciplina degli scarichi è approntata dal Codice dell’ambiente in funzione del rispetto degli obiettivi di qualità dei corpi idrici e comunque entro i valori limite previsti nell’Allegato 5 alla parte III dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, che sono inderogabili dalle Regioni, con l’obbligo di pretrattamento degli scarichi più nocivi. L’immersione in mare di materiale è consentita limitatamente a materiali di escavo di fondali marini o salmastri o di terreni litoranei emersi, di inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di utilizzo, ove ne sia dimostrata la compatibilità e l’innocuità ambientale, di materiale organico e inorganico di origine marina o salmastra, prodotto durante l’attività di pesca effettuata in mare o laguna o stagni salmastri. L’art. 1, comma 12, della L.R. dela Campania n. 2 del 2010 – che prevede un finanziamento da parte della Regione, con fondi comunitari per la realizzazione di condotte sottomarine lungo i canali artificiali con più elevato carico inquinante del litorale Domitio-Flegreo, per lo sversamento a fondale delle portate di magra: rimedio provvisorio, in attesa della realizzazione di progetti per la depurazione delle acque inquinate – è incostituzionale.

(Nella specie, la Consulta ha evidenziato che i margini di intervento, che la disciplina nazionale pur rimette alle Regioni, non giustificano misure come quelle contemplate dalla legislazione regionale campana. La norma impugnata, infatti, è macroscopicamente derogatoria non solo delle norme di indirizzo comunitario sull’inquinamento del mare, ma anche delle finalità perseguite e degli strumenti predisposti dall’azione statale a tutela dell’ambiente, tanto da non potersi in alcun modo giustificare lo strumento individuato dalla Regione, sia pure in via interinale, e neppure ritrovare un nesso tra la finalità che il comma 12 dell’art. 1 si propone («porre rimedio al fenomeno delle erosioni costiere»), e la soluzione tecnica adottata (scarico in alto mare delle acque reflue dei canali). Rispetto a tale sistema, l’intervento legislativo della Regione Campania appare del tutto disarticolato dalla strategia elaborata a livello nazionale. La dichiarata finalità di porre rimedio all’erosione costiera è, verosimilmente, un pretesto per giustificare un intervento legislativo in una materia di competenza regionale (qual è considerata il ripascimento delle zone costiere: sentenza n. 259 del 2004): la finalità è tecnicamente irrealizzabile con la misura individuata, che ha il solo scopo di allontanare in mare i reflui stagnanti nei canali litoranei in periodi di magra, in palese contrasto con la disciplina statale a tutela dell’ambiente, che mira a impedire ed eliminare l’inquinamento dell’ambiente marino, arrestando o eliminando gradualmente gli scarichi).


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