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Impianti fotovoltaici a terra

Corte Costituzionale, n. 192/11

La normativa internazionale, quella comunitaria, e quella nazionale, manifestano ampio favor per le fonti energetiche rinnovabili, nel senso di porre le condizioni per la massima diffusione dei relativi impianti. In ambito nazionale, la normativa comunitaria è stata recepita dal decreto legislativo n. 387 del 2003, il cui art. 12 enuncia i princìpi fondamentali della materia, di potestà legislativa concorrente, della «produzione, trasporto e distribuzione di energia», cui le Regioni sono vincolate. Pur non potendosi trascurare la rilevanza che, in relazione agli impianti che utilizzano fonti rinnovabili, riveste la tutela dell’ambiente e del paesaggio, il bilanciamento tra le esigenze connesse alla produzione di energia e gli interessi ambientali impone una preventiva ponderazione concertata in ossequio al principio di leale cooperazione, che il citato art. 12 rimette all’emanazione delle linee guida, con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con la Conferenza unificata. Solo in base alla formulazione delle linee guida, ogni Regione potrà adeguare i criteri così definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi contesti territoriali, non essendo nel frattempo consentito porre limiti di edificabilità degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, su determinate zone del territorio regionale, e nemmeno sospendere le procedure autorizzative per la realizzazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili in determinate parti del territorio regionale, fino all’approvazione delle linee guida nazionali (sentenze n. 364 del 2006, n. 382 del 2009, nn. 124 e 168 del 2010). E’ evidente che, prevedendo la sospensione dei procedimenti in corso al momento della sua entrata in vigore, e di quelli che saranno iniziati in seguito, la legge regionale ha l’effetto di procrastinare per un periodo di tempo indeterminato il rilascio della relativa autorizzazione, così contravvenendo alla norma di principio (art. 12, comma 4, del d.lgs. n. 387 del 2003), che, ispirata alle regole della semplificazione amministrativa e della celerità, e volta a garantire, in modo uniforme sull’intero territorio nazionale, le regole del procedimento autorizzativo, fissa in centottanta giorni il termine per la conclusione del procedimento.

(Nella fattispecie, la Consulta, nell’accogliere il ricorso della Presidenza del Consiglio, ha sottolineato che l’impossibilità, da parte delle Regioni, di interferire sulla procedura autorizzatoria, facendone dipendere la durata dai tempi di emanazione delle linee guida nazionali, rende irrilevante che queste ultime siano state adottate, con decreto ministeriale 10 settembre 2010, e che le Regioni vi si siano adeguate.D’altro canto il regime autorizzatorio configurato dall’art. 6 del decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28 (Attuazione della direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE.), successivamente intervenuto, che ha ratificato le disposizioni delle Linee guida, ivi compresa la possibilità, per le Regioni, di estendere la soglia di applicazione della procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino ad 1 MW elettrico, ha ovviamente applicazione a decorrere dalla sua entrata in vigore (29 marzo 2011).


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