In tema di gestione dei rifiuti, la consapevolezza da parte del proprietario del fondo dell’abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi non è sufficiente ad integrare il concorso nel reato di cui all’art. 51, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, atteso che la condotta omissiva può dare luogo a ipotesi di responsabilità solo nel caso in cui ricorrano gli estremi dell’art. 40, comma 2, c.p. ovvero sussista l’obbligo giuridico di impedire l’evento.
I reati di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata e stoccaggio di rifiuti tossici e nocivi senza autorizzazioni hanno natura di reati permanenti, che possono realizzarsi soltanto in forma commissiva. Ne consegue che essi non possono consistere nel mero mantenimento della discarica o dello stoccaggio da altri realizzati, pur in assenza di qualsiasi partecipazione attiva ed in base alla sola consapevolezza della loro esistenza.
Non è sufficiente ad integrare il reato di cui all’art. 51, comma 2, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, la mera consapevolezza da parte del proprietario di un fondo del fenomeno di abbandono sul medesimo di rifiuti da parte di terzi senza che risulti accertato il concorso, a qualsiasi titolo, del predetto proprietario con gli autori del fatto.
Anche in materia ambientale un dato comportamento omissivo acquista il connotato dell’antigiuridicità solamente in funzione di una norma che imponga al soggetto di attivarsi per impedire l’evento naturalistico di lesione dell’interesse tutelato.
(Nella specie, la Suprema Corte ha annullato senza rinvio la sentenza della Corte di merito nella quale quest’ultima affermava la colpevolezza degli imputati, a titolo di colpa, fondandola esclusivamente su un presunto comportamento omissivo dei medesimi, per non avere provveduto a far eliminare i rifiuti depositati ed abbandonati ad opera di terzi sul fondo di loro proprietà.)
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