Mentre il primo comma dell’art. 437 c.p. rappresenta un reato di pericolo, nel secondo comma, la fattispecie viene a configurarsi come un reato di evento, il quale può configurarsi diversamente, o perché si verifica il disastro o perché si verifica l'infortunio e/o la malattia-infortunio. La nozione di disastro non può farsi coincidere con la molteplicità degli eventi di danno che coinvolgono i beni individuali della salute e della vita, consistendo, piuttosto, in un macroevento, di immediata manifestazione esteriore, che si verifica in un arco di tempo ristretto ovvero in un macroevento, non visivamente ed immediatamente percepibile, che si realizza in un periodo molto prolungato, i quali producano una compromissione delle caratteristiche di sicurezza, di tutela della salute e di altri valori della persona e della collettività tale da determinare una lesione della pubblica incolumità (cfr., ex multis, Sez. 1, n. 7941 del 19/11/2014 - dep. 23/02/2015, P.C., R.C. e Schmidheiny, Rv. 262790).
Il bene giuridico tutelato è diverso nel primo e nel secondo comma dell’art. 437 c.p., nel primo caso, trattandosi della salute pubblica, nel secondo, beni di natura individuale. In assenza di contestazione esplicita del collegamento tra soggetti passivi e pericolo, non vi è equivalenza giuridica tra il numero dei soggetti passivi e la sussistenza del pericolo comune, essendo invece indispensabile una puntuale reductio ad unum di morti e lesioni nel fenomeno collettivo di disastro.
Poiché la norma prende in considerazione l'infortunio, il termine di prescrizione decorre dall'insorgenza della malattia (ovvero dalla prima diagnosi), risultando irrilevante – ai fini del perfezionamento dell’ipotesi aggravata - l'ulteriore evoluzione della malattia nella morte.
(Nella specie, il P.G. aveva sostenuto che il reato - di cui all’art. 437, c. 2 c.p., dovesse ritenersi consumato con il verificarsi del disastro o dell'infortunio, macro-evento capace di ricomprendere tutte le morti, verificatesi in conseguenza delle esposizioni nocive e non con la data di insorgenza delle singole malattie. Non vi erano, secondo tale prospettazione, tanti eventi quante erano le malattie-infortuni, bensì un unico macro-evento, comprendente tutte le malattie-infortuni dei soggetti in questione, con la conseguenza che il dies a quo a fini di prescrizione dovesse coincidere con la verificazione dell’ultimo evento morte e, pertanto, i termini di prescrizione non dovessero ritenersi decorsi.
Le difese avevano argomentato, invece, circa l'attinenza della contestazione ad una pluralità di malattie-infortunie non al disastro, ritenendo che la consumazione del delitto aggravato dovesse farsi coincidere con il momento di cessazione della condotta e non con il momento del verificarsi dell'evento aggravatore, da identificarsi nella (insorgenza della) malattia e non nel decesso.
La Corte ha accolto la tesi difensiva affermando che - poiché l'ipotesi di cui all'art. 437, c. 2 c.p. era stata contestata in relazione al solo infortunio-malattia del soggetto Y - la consumazione del reato e, dunque, il dies a quo della prescrizione dovesse coincidere con il momento al quale si faceva risalire l'insorgenza della malattia).
In tema di sapere scientifico attendibile nell’accertamento del nesso causale, nel settore della responsabilità penale da esposizione a sostanze tossiche, vige il criterio del consenso nella comunità scientifica (conf. Cass. pen. Sez. IV ud. 17 settembre 2010, dep. 13 dicembre 2010, n. 43786, Cozzini e altri). L’onere probatorio, in relazione al criterio del consenso, è diverso per l’accusa e la difesa: in tema di malattie asbesto-correlate, il solo serio dubbio, in seno alla comunità scientifica, sulla validità di un meccanismo causale rispetto all'evento è motivo più che sufficiente per assolvere l'imputato. La condanna richiede, viceversa, che la colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni ragionevole dubbio", dunque, l’applicazione della legge di copertura scientifica potrà condurre alla condanna solo qualora sia ampiamente condivisa dalla comunità degli esperti.
(Nel caso di specie, era stato dedotta dall’accusa la tesi del c.d. “effetto acceleratore” che il protrarsi dell’esposizione all’amianto e/o il sommarsi di più esposizioni sarebbe in grado di determinare rispetto allo sviluppo del mesotelioma. In particolare, l’Accusa aveva invocato l’applicazione della c.d. teoria di Berry sul tumore polmonare, al fine di dimostrare l’equivalenza tra l’aumento dell’incidenza del tumore e l’accorciamento della latenza della malattia tumorale. Pur avendo tale teoria un ampio consenso nella comunità scientifica, la Corte ha ritenuto che non fosse stata affatto provata l’esistenza di un consenso scientifico in ordine all’applicabilità di tale teoria ai mesoteliomi, e dunque, che l’applicabilità in concreto di tale tesi non fosse confortata dal consenso scientifico.
La Corte ha sottolineato altresì l’importanza di procedere all’accertamento della causalità individuale, ossia la verificazione dell’effetto illustrato dalla teoria di Berry nei singoli casi, annullando le condanne rispetto alle quali era mancato l’accertamento della causalità individuale tra il fattore di rischio e l’evento lesivo (morte per mesotelioma e per tumore polmonare), sostenendo lo statuto condizionalistico della causalità e l’importanza della prova nel caso concreto. I Giudici di legittimità hanno affermato la necessità di procedere ad un’accurata esclusione dei decorsi causali alternativi all'amianto nella produzione del tumore polmonare (fattori di natura ormonale, virale, familiare o genetico nonché quello del tabagismo), laddove la sussistenza di questi ultimi sia plausibile.
Nel caso di patologie multifattoriali, sia in primo luogo necessario l'utilizzo di leggi scientifiche probabilistiche. Tuttavia, dopo aver rinvenuto una legge di copertura sul piano della causalità generale, è ancora necessario rinvenire la prova che quella legge abbia operato nel caso concreto, al fine di escludere l'operatività di quei fattori alternativi dimostrati nel caso specifico. La ‘regola dell'esclusione’ impone che la malattia possa essere attribuita alla causa indiziata, solo dopo che sia stato escluso che abbia avuto un ruolo eziologico il fattore alternativo. Emerge la centrale rilevanza delle conoscenze scientifiche acquisite nell’accertamento del fattore alternativo e ciò implica che, per poter affermare la causalità della condotta ascritta all'imputato, rispetto alla patologia sofferta dal lavoratore, è necessario dimostrare che questa non ha avuto un'esclusiva origine nel diverso fattore astrattamente idoneo e che l'esposizione al fattore di rischio, di matrice lavorativa, sia stata condizione necessaria per l'insorgere o per una significativa accelerazione della patologia.
In alcun modo si può ricercare, nelle pronunce del giudice di legittimità, la ‘validazione’ di una determinata teoria scientifica rispetto ad un’altra, in quanto il precedente giurisprudenziale non può costituire il nomos in tema di sapere scientifico.
(Nella specie, la Corte ha escluso potesse affermarsi con certezza, sulla base degli elementi acquisiti in istruttoria, la dipendenza eziologica del tumore polmonare dall'esposizione ad amianto di un lavoratore tabagista. Trattandosi di reato non prescritto, ne è derivato l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio, in relazione alle statuizioni concernenti l'omicidio in danno di Y).
Associazione Giuristi Ambientalitel. 06/87133093 - 06/87133080 |
Informativa privacy |
powered By Diadema Sinergie |